Algeria e cultura Tuareg: cosa ho imparato durante il mio viaggio nel deserto
Otto giorni nel Sahara, alla scoperta del deserto e della cultura Tuareg. Un racconto di tradizioni, musica, tè e ospitalità.
Giorgia
5/8/20246 min read


Sono tornata dall’Algeria da qualche settimana e i ricordi sono ancora nitidi. È stato il mio primo viaggio in Africa e ne sono rimasta affascinata. Lindi, Ugo, Lindi Bolo, Andre, Marti e Nic sono stati dei compagni di viaggio fantastici e hanno reso questa esperienza unica. Otto giorni nel deserto appena fuori da Djanet, senza internet e a contatto con la natura e il popolo Tuareg. Ho imparato molto e questo lo devo ai grandi maestri che ho avuto: Laid, Malik, Hassan e Arafat. Senza saperlo, raccontandomi della loro cultura e rendendomi parte di essa, mi hanno dato la voglia di iniziare a scrivere, perciò eccomi qui a condividere cosa ho imparato.
L’assenza di internet, dei social e dei contatti esterni ha fatto sì che nessuno di noi fosse distratto. C’eravamo solo noi del gruppo, il deserto, il sole, le stelle, la musica e il fuoco. Non potevamo chiedere di più in quel momento. Forse un bidet ogni tanto, ma ce la siamo cavata anche senza.
Tutto mi attraeva del posto, in particolare la vita lenta e le persone, che conoscono il deserto come le loro tasche, mentre io faccio fatica a girare per Milano senza navigatore.
Ma bando alle ciance. Ecco cosa ho imparato sulla cultura Tuareg durante il viaggio in Algeria!
2. Il tè si beve per socializzare e dare il benvenuto
Nonostante il tè non sia un prodotto tipico algerino, ha assunto un ruolo molto importante all’interno della cultura Tuareg. Una volta acceso il fuoco per scaldarsi, Malik prendeva qualche pezzo di brace e ci appoggiava sopra la teiera con acqua e foglie di tè verde. Quando iniziava a bollire, prendeva un bicchiere nel quale aggiungeva dello zucchero (tanto zucchero!).
Quando il tè bolliva, lo toglieva dalla brace e, come se stesse facendo un esperimento, versava il tè nel bicchiere con lo zucchero, che all’istante formava una schiuma bianca e il bicchiere sembrava colmo di birra. Dal bicchiere, poi, rimetteva il tè nella teiera e ripeteva per due o tre volte. Si usano le stesse foglie per tre infusioni: la prima è molto amara, la seconda un po’ più dolce e la terza è così leggera che la danno anche ai bambini. Posso confermare l’amarezza del primo bicchiere!
I Tuareg bevono sempre il tè quando sono in compagnia: nel deserto, a casa, con la shisha. È il loro modo di ritrovarsi e socializzare.
3. Amore, vita nomadica e deserto: i temi delle canzoni Tuareg
A detta di Arafat, i Tuareg sono un popolo molto romantico e ciò lo si sente dalla loro musica. I temi principali di cui parlano le loro canzoni sono il deserto e la libertà, il nomadismo, l’amore e il viaggio. Nonostante la tradizione nomade, il popolo Tuareg ha trovato il modo di fare musica anche nel deserto e raggiungere la fama mondiale, infatti un gruppo musicale tuareg famoso sono i Tinariwen. Mentre ci scaldavamo davanti al fuoco, Hassan e gli altri suonavano e cantavano. Hassan ha imparato a suonare nel deserto, dagli amici. Non ha seguito corsi di musica, ma suona come se avesse imparato da un grande chitarrista.
4. La Taguella: il pane che si cuoce sotto la sabbia
L’ultima sera del viaggio Malik ci ha preparato la taguella (si pronuncia “taghellà”). Ha unito farina di semola e acqua e, mentre impastava con forza, il fuoco scaldava la brace e la sabbia: se non fossero state abbastanza calde, la sabbia si sarebbe potuta attaccare al pane. Mi sembrava di guardare la mia nonnina: si vedeva la mano esperta di chi lo fa da anni. Dopo un po’, Malik ha formato un grande e spesso disco, lo ha appoggiato sulla sabbia rovente, lo ha ricoperto con la brace e lo ha cotto per venti minuti. Una volta pronto, ancora fumante, lo ha diviso in piccoli pezzi, lo ha messo in un sugo di carne e lo ha lasciato riposare per qualche minuto, in modo che il pane assorbisse il sugo. Non so descrivervi quanto era buono!
5. Si parla arabo o francese? Entrambe, ma si parla anche Tamasheq
Grazie a Linda, l’amica che ha organizzato il viaggio, ho scoperto che in Algeria si parla anche francese, non solo arabo, e mentre eravamo nel deserto, Hassan mi ha raccontato che fra di loro parlano Tamasheq o Tamahaq. Entrambe fanno parte di quella che in italiano chiamiamo lingua tuareg, che si divide in vari dialetti, a seconda dello stato in cui è parlata: il Tamasheq, che si parla in Mali, il Tamahaq, parlato in Algeria e Libia, e il Tamajeq, parlato in Niger. Sono lingue molto simili e ciò che le rende diverse tra loro sono alcuni suoni.
Non so dirvi esattamente che suono abbiano perché non saprei distinguerle dall’arabo, però è molto interessante e, da buona nerd linguistica, mentre ero lì ho imparato alcune parole:
Imidini: Amico
Tamiditine: Amica
Imidiwan: Amici
Tarhanine: Amore mio
Maidjan: Come stai?
Iman: Acqua
Nagla: Andiamo!
Tenere: Deserto
La lingua tuareg ha anche una forma scritta chiamata Tifinagh, un antico alfabeto utilizzato dai Tuareg. I caratteri sono geometrici e simmetrici, dalle forme semplici, infatti spesso si vedono quadrati, cerchi, linee e triangoli.
6. La lavorazione dell’argento e la croce tuareg
L’artigianato, e in particolare la lavorazione dell’argento, sono una fonte di sostentamento per le popolazioni Tuareg. Producono anelli, collane e braccialetti che possono essere simbolo del proprio status oppure di protezione, infatti è molto comune vedere uomini che indossano anelli, anche se non sono sposati. Una delle forme più riprodotte dagli artigiani è la croce di Agadez, che si vede spesso come ciondolo sulle collane. Agadez è una città del Niger, punto di riferimento della cultura Tuareg e la croce rappresenta i quattro punti cardinali come se fosse una bussola.
7. L’umorismo
Concludo con una considerazione personale. Per me, uno degli aspetti più interessanti di ogni cultura è come si sviluppa l’umorismo perché varia in base al contesto sociale, alla lingua e ai valori, e ciò che viene considerato divertente in una cultura può non esserlo in un’altra. Non c’è un concetto universale di umorismo e a volte coglierlo o condividerlo può non essere facile. Non ho avuto modo di provare a pieno “l’umorismo tuareg”, ma ricorderò sempre la battuta che ci ha fatto Laid, la nostra fantastica guida. La condivido come ricordo di questo viaggio:
Quale cosa scrive in tutte le lingue?
La penna.
❤️
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Mi sono sentita accolta a braccia aperte e benvoluta, così parte di qualcosa di più grande che non posso fare a meno di sentire una certa nostalgia ogni volta che ci penso. Il deserto, la gente, le tradizioni: questa esperienza mi ha insegnato a guardare il mondo con occhi nuovi e, non poi così in fondo, mi ha cambiata.
Au revoir caro deserto! Ci hai accolti per qualche giorno e ci hai cullati con il tuo sole, le tue dune e la tua lentezza. Saremo per sempre grati di questo viaggio.


1. Lo chèche: anche gli uomini indossano il velo
Non importa che tu sia uomo o donna, indossare un copricapo è essenziale. Lo chèche (parola francese che si pronuncia “shesh”), è una sciarpa di cotone che aiuta a tenere la testa umida e non prendersi un coccolone nel deserto quando fa molto caldo. Viene chiamato anche tagelmust o litham. Nel mercato di Djanet se ne trovano di ogni colore e due metri di sciarpa costano pochi euro. Ci si copre la testa, la fronte, le orecchie e anche la bocca e il naso a volte. Però bisogna fare attenzione a usarlo bagnato senza averlo prima lavato: l’ho fatto e mi si è colorata la faccia! :S
Comunque funziona! Copre la testa e il caldo si sente meno. Mi sono trovata a usarlo anche per altro, ad esempio per togliermi la sabbia dalle mani, per asciugarle quando le lavavo o per coprirmi le braccia dal sole come fosse uno scialle (mi ero scottata, quindi al posto dello chèche in testa avevo il cappellino da pescatore di mio fratello).



